06 junho 2006

Visita do Papa a Auschwitz

Bento XVI:«Num lugar como este nem tenho palavras».

« Tomar a palavra neste lugar de horror, de acumular de crimes contra Deus e contra a humanidade que não têm comparação na história, é quase impossível – e é particularmente difícil e oprimente para um cristão, para um Papa que vem da Alemanha. Num local como este, as palavras não surgem, no fundo permanece um surpreendente silêncio – um silêncio que é um grito interno a Deus: Porquê, Senhor, permaneceste calado? Porque é que pudeste tolerar tudo isto? É nesta atitude de silêncio que nos inclinamos profundamente no nosso íntimo em frente à incontável linha de todos aqueles que aqui sofreram e que foram submetidos à morte; este silêncio, no entanto, torna-se numa demanda em alta voz de perdão e reconciliação; um grito a Deus vivo que não permita nunca mais semelhante coisa ».
Foi há pouco mais de uma semana, mas dá sempre que pensar!

6 comentários:

Anónimo disse...

Dove erano i cristiani? - una domanda che si pone Daniele Garrone in Foglio di Comunità, giugno 2006

Anónimo disse...

Por que é que a Igreja ficou então calada?! ... essa é a pergunta que me devasta, s.

Anónimo disse...

Porque é que a Igreja ficou calada? Essa é uma questão que também se coloca Daniele Garrone.
N

k. disse...

Benedetto XVI ad Auschwitz: più inquietante quello che non ha detto

"Parla di più un tedesco ammutolito che un tedesco che parla italiano"



La lettura del discorso tenuto da papa Benedetto XVI ad Auschwitz-Birkenau suscita alcune considerazioni, sia per quello che ha detto, sia per quello che ha taciuto: i silenzi sono più eloquenti e più inquietanti delle parole; le cose dette sono accompagnate dall'omissione di parole che avrebbero dovuto essere dette.



1. "Perché, Signore, hai taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto questo? . Dov'era Dio in quei giorni? Perché Egli ha taciuto?" Il papa ha ripreso una domanda che i Salmi di Israele pongono a Dio, senza remore, da adulti nella fede. Un conto, però, è se questa domanda, anzi questa protesta, la pongono quelli che ad Auschwitz morivano o ad Auschwitz sono sopravvissuti, un conto è se la pone un cristiano sul luogo del loro patibolo, un tempo circondato da una massa di cristiani indifferenti, più spesso corrivi o direttamente complici. "Dov'è Dio?" non è stata la sofferta preghiera dei cristiani rispetto ad Auschwitz. Negli anni del nazismo le chiese cristiane non hanno invocato il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe e di Gesù perché intervenisse a favore del suo popolo Israele e neppure lo hanno fatto per molto tempo dopo. Non "dov'era Dio?", ma "dove erano i cristiani, in particolare i vertici delle chiese?": questa è la prima e più drammatica domanda che ogni cristiano - tanto più il papa che pretende di parlare come vicario di Cristo e pastore della chiesa universale – doveva porre ad Auschwitz. Non dell'imperscrutabile segreto di Dio, ma delle scrutabilissime responsabilità dei cristiani doveva parlare. Doveva dire una parola sul rapporto tra il secolare e radicato antigiudaismo cristiano, virulento anche nella sua chiesa nei decenni che precedono la Shoah, e lo sterminio nazista. Avrebbe dovuto ricordare che l'odio antiebraico è uno dei risvolti sinistri delle da lui tanto celebrate radici cristiane dell'Europa e che è stato propagato da predicatori e teologi di ogni confessione, da vescovi, cardinali e papi, non da "figli della chiesa" sviati. Avrebbe potuto lasciarsi ispirare dalle voci significative di tanti cristiani della sua terra che hanno detto, ad esempio: "Dichiariamo che, con le nostre omissioni e con i nostri silenzi, siamo stati complici davanti al Dio della misericordia del crimine che è stato commesso contro gli ebrei da membri del nostro popolo" (Dichiarazione del Sinodo della Chiesa evangelica di Germania, Weissensee, 1950), oppure: "Riconosciamo la corresponsabilità e la colpa dei cristiani nell'olocausto, nella diffamazione, nella persecuzione e nell'assassinio degli ebrei nel terzo Reich" (Sinodo evangelico della Renania, 1980). Avrebbe dovuto dire, insomma, che il primo pensiero di un cristiano ad Auschwitz è quello della colpa della propria chiesa, non quello dei silenzi di Dio. Nulla di tutto questo si trova nel suo discorso.



2. Solo partendo dal riconoscimento delle colpe della propria storia, il tema della riconciliazione - una delle parole più ricorrenti nel discorso papale - avrebbe potuto avere una vera pregnanza e l'auspicata "purificazione della memoria" non avrebbe eluso i drammatici interrogativi che pone la storiografia. Come molti hanno già rilevato, la sua lettura della storia tedesca durante il nazismo come quella di un "popolo sul quale un gruppo di criminali raggiunse il potere mediante promesse bugiarde", di un popolo "usato e abusato come strumento della loro smania di distruzione e di dominio", è una interpretazione revisionistica. Come se non sapessimo nulla della storia, come se non sapessimo che con quel "gruppo di criminali" un suo predecessore stipulò un concordato invece di condannarlo, come se non sapessimo che l'altra metà della cristianità tedesca, quella protestante, a quel "gruppo di criminali" diede il suo appoggio. Come se non sapessimo che, salvo poche, sparute eccezioni - che il Papa non ha menzionato, dalla Rosa Bianca al gruppo di cospiratori dell'ammiraglio Canaris - non ci fu una resistenza tedesca a quella che Bonhoeffer ha definito "la grande mascherata del male". Se di tutto questo ci si ricordasse, "la Chiesa" non sarebbe risparmiata dal fango e dal sangue della storia umana e le sarebbe molto più difficile parlare ad Auschwitz. Invece, l'immagine che esce dal discorso del Papa ad Auschwitz è quella della "Chiesa" che può parlare a nome di tutti i popoli, per tutte le colpe, perché in fondo essa non ne ha, che può tutto riconciliare e purificare come se fosse super partes.



3. Il papa ha voluto parlare anche come "figlio del popolo tedesco". Non si capisce perché, allora, ha parlato in italiano. Avrebbe dovuto avere il coraggio dell'ex presidente della Repubblica Federale di Germania, Johannes Rau, recentemente scomparso, un pio cristiano, predicatore laico nella sua chiesa, che in tedesco si rivolse alla Knesset, il parlamento di Israele, uditorio ben più difficile della paludata delegazione che ascoltava il Papa ad Auschwitz. La lingua che ad Auschwitz non può che suonare sinistra a memoria d'uomo avrebbe potuto esprimere con la massima pregnanza il no all' orrore che essa stessa ha veicolato. Oppure avrebbe potuto ricordarsi di Willy Brandt, che si inginocchiò in silenzio. Parla di più un tedesco ammutolito che un tedesco che parla italiano.

Daniele Garrone, decano della Facoltà valdese di teologia di Roma

fonte: www.italialaica.it

k. disse...

Sim, onde estava Deus?

António Marujo

1.Nunca estive em Auschwitz. Nem em nenhum outro campo nazi que serviu para o extermínio de judeus. Serei, por isso, mais um a tecer considerações (porventura o mais fácil) sobre a inominável tragédia da Shoah. Mas ouvi já muitos testemunhos de quem esteve em Auschwitz, Dachau ou Treblinka. Todos confessam: quando se chega, atravessa-nos um grande silêncio e ficamos sem palavras. Tal como disse, a 28 de Maio, o Papa Bento XVI na sua visita a Auschwitz-Birkenau: "Num lugar como este, as palavras falham. No fim, só pode haver um terrível silêncio, um silêncio que é um sentido grito dirigido a Deus: Porquê, Senhor, permaneceste em silêncio? Com pudeste tolerar isto? Onde estava Deus nesses dias? Porque esteve ele silencioso? Como pôde ele permitir esta matança sem fim, este triunfo do demónio?"
Deus ficou calado em Auschwitz, sim. Como continua, hoje, calado no Darfur, ou o esteve no Ruanda, na Bósnia, nas crianças que morrem diariamente de fome ou nas pessoas que, também todos os dias, são mortas por armas ligeiras e guerras pesadas.
Vai, no entanto, por aí alguma confusão em alguns espíritos, quando se confunde o silêncio de Deus com o silêncio das pessoas ou das instituições. O tema do silêncio de Deus tem sido debatido culturalmente (incluindo israelitas como Elie Wiesel). Há quem fale mesmo da impossibilidade da poesia depois do Holocausto. Mas o "silêncio de Deus" é uma expressão para designar um dos mais profundos mistérios da existência humana: porquê o mal? Como foi possível chegar à barbárie, quando já estamos na civilização? Que insondável desígnio é esse que nos leva a aniquilar o outro, quando podemos ser fraternos com ele?
Sim, em Auschwitz, todos fomos verdugos e todos fomos vítimas. Porque o mal coabita com o melhor de nós mesmos. E o que separa a capacidade de fazer o bem e o mal é, por vezes, um limiar quase imperceptível. Nos nossos quotidianos, há formas de aniquilamento do outro que só não atingem a perversidade de Auschwitz porque não temos câmaras de gás ao dispor de cada um. De resto, estão lá o desejo de domínio, de humilhação, a indignidade a que remetemos o outro. Seja em tantos ambientes familiares ou nas escolas, nas empresas e lugares de trabalho, na política, na economia e na vida social.
O tema do silêncio de Deus é, assim, o tema do que cada pessoa faz com a sua liberdade. E não uma qualquer pergunta sobre a momentânea ausência de um ser todo-poderoso que interfere e, ex machina, dá ordens às suas criaturas, quais marionetas, para fazer o bem.
É verdade que, muitas vezes, as estruturas religiosas passam a ideia de um deus poderoso que tudo regularia. Pessoalmente, o Deus em que acredito é aquele que me dá a escolher, entre o bem e o mal, na minha consciência e na mais plena liberdade. A afirmação de um Deus todo-poderoso não leva à certeza absoluta sobre tudo: "A atitude contrária à fé não é a hesitação nem a dúvida, é a certeza de que já tenho resposta para tudo (...) tornando-me impermeável à assombrosa novidade de Deus", escreve o irmão John, de Taizé (À Beira da Fonte, ed. AO).
Há poucos dias, ouvi-o dizer melhor a Emma Ocaña, teóloga e psicoterapeuta espanhola: "Deus não é um protector que evita que o mal nos aconteça na vida. Deus é uma presença, que sabemos estar connosco quando a vida nos corre bem ou quando a vida nos corre mal."
Etty Hillesum, uma judia que morreu em Auschwitz e que deixou um diário onde também dialoga com o cristianismo ou com autores como Rilke e Dostoievski, escrevia, em Junho de 1942, poucos meses antes de morrer: "Não é Deus, mas nós, quem tem de dar conta dos absurdos que nos são imputáveis. Eu já sofri mil mortes em mil campos de concentração. Tudo me é familiar. Já não há nenhuma nova informação que me angustie. De um modo ou de outro, já sei tudo. E, no entanto, vejo esta vida formosa e cheia de sentido. Em cada instante."
2. Outro, bem diferente, é o tema do silêncio das pessoas e das instituições. E quando se fala do Holocausto, está hoje na moda falar do papel do Vaticano e do Papa Pio XII, que então liderava a Igreja. O problema, aqui, é saber se uma condenação pública do nazismo por parte de Pio XII teria sido útil ou eficaz. A história é complexa, não vou agora entrar no debate sobre ela.
Convém, mesmo assim, recordar alguns pormenores de um lado ocultado a maior parte das vezes. Em Janeiro de 2005, o jornal italiano Avvenire publicou documentos inéditos do diplomata americano Harold Tittmann, encarregado de negócios dos EUA junto da Santa Sé durante a guerra. Tittman recorda um encontro com Josef Muller, líder da Resistência alemã: "A sua organização antinazi insistiu sempre que o Papa se abstivesse de qualquer declaração pública que sublinhasse o papel dos nazis" nas perseguições.
Há várias ambiguidades na actuação de Pio XII. Mas os alemães tiveram preparados dois planos para raptar o Papa, que durante um ano não pôde, sequer, sair do Vaticano. E nos colégios pontifícios (como o Colégio Português em Roma), centenas de judeus eram acolhidos como refugiados. Os silêncios, como se vê, podem falar de outros modos.

Anónimo disse...

É preciso não esquecer! Esculpir o que aconteceu nos nossos corações, como apelava Primo Levi. Aqui, neste caso, como em outras guerras, o silêncio é cúmplice, pode ser omissão... É preciso recordar! Assumir a desolação da verdade. s.